mercoledì 16 maggio 2012

La fede che rende adulti. Il catechismo per la nuova evangelizzazione (Nicola Bux)


Il catechismo per la nuova evangelizzazione


La fede che rende adulti


di Nicola Bux


Il Papa nel corso del suo viaggio apostolico in Francia (12-15 settembre 2008) ebbe a osservare come per molti Dio sia diventato il «grande Sconosciuto». 
Un'affermazione dettata dalla preoccupazione -- che Benedetto XVI ripete con insistenza -- per il futuro della fede, la cui fiamma sembra quasi spegnersi in non poche regioni della terra. Soltanto poco più di un mese fa, in occasione del Giovedì santo, ha denunciato come si sia dinanzi a un rinnovato «analfabetismo religioso». Purtroppo, però, questo “credere a modo mio”, sembra alle volte anche incentivato da maître à penser che dall'interno della Chiesa, hanno seminato il loro verbo piuttosto che il Verbo divino. La stessa Italia sta diventando un Paese “genericamente” cristiano. Viene auspicata, dunque, una nuova evangelizzazione, grazie anche all'impulso del Pontificio Consiglio appositamente istituito dal Papa.
Da dove cominciare? Forse proprio dalla liturgia, dal canto sacro e dai nuovi edifici di culto, purché innanzitutto commissionati a persone che coniughino fede e talento, per proporre forme che parlino di Dio.
La fede e la sua dottrina: qui sta il punto. Una fede semplice come quella dei pastori, delle donne e degli uomini incontrati da Gesù. E non quella di chi, per esempio, afferma che la risurrezione di Gesù è solo frutto dell'elaborazione dell'esperienza dei discepoli. 
Perciò il Papa ha indetto un Anno della fede in cui riprendere in mano gli insegnamenti del Vaticano II e più popolarmente il catechismo. I libri di pastorale e quelli di sociologia religiosa, di per sé, non hanno mai convertito nessuno. Ci vuole, invece, la conoscenza di Gesù persona storica, umana e divina, che fonda la nostra fede. Nei nostri occhi sono i fatti, dice sant'Agostino, nelle mani gli scritti: e i primi sono molto più importanti di questi ultimi. Così, in controtendenza, il cristianesimo rinasce e dimostra che contro la Chiesa, divino-umana per volontà del Fondatore, le forze infernali non praevalebunt.
Si accennava, dunque, all'analfabetismo religioso additato dal Papa e dai vescovi, e dell'esigenza di combatterlo con la dottrina cristiana, la “dottrina della fede”. Il dicastero vaticano che ha ricevuto questo titolo da Paolo VI è strumento imprescindibile per la nuova evangelizzazione. Benedetto XVI ha chiesto a tutti -- vescovi, sacerdoti e religiosi, suore e laici impegnati -- di muoversi all'unisono, oltre i programmi o piani pastorali particolari, con il Catechismo della Chiesa cattolica. 
In missione non si va in ordine sparso, ma tutti, insieme al Papa; se si vuol combattere la secolarizzazione che ha incentivato l'analfabetismo religioso, bisogna che ci misuriamo con Gesù che ha detto: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato» (Giovanni, 7, 16). Per questo va diffuso il catechismo, dice Benedetto XVI: «Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori». Soprattutto però l'anima cristiana deve attingere al cuore di Cristo per toccare i cuori della gente, come hanno fatto i santi che, proprio per questo, sono tanto amati.
Tuttavia, c'è chi sostiene che il cristianesimo non serve per salvarsi l'anima. 
Perciò, il Papa nell'omelia della messa crismale, ha usato un'espressione fuori moda: lo zelo per la salvezza delle anime. «Noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell'anima dell'uomo». Ha detto Gesù: «A che serve all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l'anima?». Così, si dovrà comprendere il valore e l'importanza dei sacramenti, che dalla nascita alla morte servono a salvare le anime. I sacerdoti avranno ancora abbastanza zelo per accorrere da un moribondo al fine di dargli confessione, unzione e comunione per la salvezza dell'anima? L'anima dell'uomo sta a ricordare che non appartiene a se stesso ma a Dio. Così i preti non appartengono a se stessi ma a Gesù Cristo. C'è bisogno di dottrina della fede, fatta di conoscenza, competenza, esperienza e pazienza. C'è bisogno di un rinnovato slancio apostolico. Il dono della fede non è separato dal battesimo.
Il Papa al clero romano, infatti, ha recentemente ricordato che, se l'atto del credere è «inizialmente e soprattutto un incontro personale» con Cristo, come ci descrivono i Vangeli, «tale fede non è solo un atto personale di fiducia, ma un atto che ha un contenuto» e «il battesimo esprime questo contenuto».
San Cirillo di Gerusalemme ricorda che la nostra salvezza battesimale dipende dal fatto che è scaturita dalla crocifissione, sepoltura e risurrezione di Cristo, veramente avvenute nella sfera fisica: si chiama grazia, perché la riceviamo nel sacramento senza patire i dolori fisici. Per questo, ammonisce Cirillo: «Nessuno pensi che il battesimo consista solo nella remissione dei peccati e nella grazia di adozione, come era il battesimo di Giovanni che conferiva solo la remissione dei peccati. Noi invece sappiamo che il battesimo, come può liberare dai peccati e ottenere il dono dello Spirito Santo, così anche è figura ed espressione della Passione di Cristo», come proclama Paolo (Romani, 6, 3-4). «Noi sappiamo», dice il santo vescovo di Gerusalemme: all'incontro personale col Signore e alla sequela di lui per la salvezza, segue necessariamente la dottrina che si trasmette attraverso la Scrittura e la Tradizione della Chiesa. Tutto questo è riassunto nel catechismo. Bisogna rinnovare la catechesi e la liturgia affinché Dio sia conosciuto e amato. Ciò vuol dire una vera devozione, quella che necessita nella liturgia odierna, nella celebrazione dei sacramenti. La devozione o pietas è costituita dall'offerta di sé a Dio: cosa che si esprime con l'insieme di gesti e riti percepiti come significativi per la propria vita: partecipare alla messa, chiedere di celebrarla per le proprie intenzioni, confessarsi e fare la comunione, assistere ad altre funzioni, pregare e cantare inni, frequentare la catechesi, fare le opere di misericordia, fare visita a un luogo dove è venerata una immagine sacra o il sepolcro di un santo taumaturgo, lasciare un'offerta, accendere un cero, partecipare alla processione, portare a spalla la sacra immagine. In sostanza, sono questi segni d'invocazione, di protezione, di ringraziamento che fanno la vera devozione che manifesta la fede, che sola fa giusti davanti a Dio e ci salva. L'Anno della fede sarà un tempo propizio.
Lo studio del contenuto della fede -- come sottolineano specialmente i movimenti ecclesiali -- è necessario all'interno dell'esperienza della fede, per diventare adulti nella fede, superando la fanciullezza che spinge molti ad abbandonare la Chiesa dopo la cresima, diventando così incapaci di esporre e rendere presente la filosofia della fede, di rendere ragione di essa agli altri. Essere adulti nella fede però non vuol dire dipendere dalle opinioni del mondo, emancipandosi dal magistero della Chiesa.
Perché occuparsi ancora di questo? Perché non è soltanto un pensiero teologico, ma è diventato una pratica che ha permeato pian piano non pochi settori della vita ecclesiale. Uno dei più clamorosi è la dottrina sacramentaria: oggi, il sacramento non viene più sentito come proveniente dall'esterno, dall'alto, ma come la partecipazione a qualcosa che il cristiano già possiede. E visto che oggi si ama guardare a Oriente, si deve dire -- almeno per correttezza ecumenica -- che per la teologia orientale la svolta antropologica è una pista falsa imboccata dalla teologia occidentale; l'unico tema fondamentale di tutta la teologia di tutti i tempi è, e deve rimanere, l'Incarnazione del Verbo, il principio umano divino che è entrato nel mondo «per noi uomini e per la nostra salvezza». L'uomo staccato da Dio non ha possibilità di sopravvivenza. Altrimenti a furia di parlare dell'uomo, come è accaduto, non si parla più di Dio.


(©L'Osservatore Romano 16 maggio 2012)

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